Il Bracketing: cos’è, come e quando usarlo!

Facciamo chiarezza sul concetto di “bracketing”: cos’è, quando si usa, con quali tecniche possiamo unire gli scatti realizzati!

Il bracketing è costituito da una serie di scatti “a forcella”, vale a dire una serie di scatti in cui solo 1 valore cambia. L’esempio più chiaro, che è quello di cui parleremo in questo articolo, è il cosiddetto “AEB” (auto exposure bracketing) in cui il valore che cambia è quello dell’esposizione. Ma in teoria ci sono molti bracketing possibili, in cui a variare sono altri parametri (anche il bilanciamento del bianco ad esempio, WB Bracketing).

In questo articolo ci concentriamo sull’Exposure Bracketing, quello di uso più frequente, specialmente nella fotografia di paesaggio. Si tratta appunto di una serie di 3, 5, 7 o anche 9 scatti in cui le foto sono tutte identiche, se non per il valore di esposizione (EV) che cambia in ognuna di esse. Vediamo qua sotto un classico esempio di 5 foto scattate in bracketing:

In questo caso, parliamo di 5 foto realizzate con gli stessi ISO e diaframma, variando unicamente il tempo di scatto per variare l’esposizione.

Ma ecco appunto la domanda: quando è che bisogna scattare in bracketing e quando invece non serve?

La risposta è molto semplice. L’occhio umano è capace di leggere una quantità di informazioni dalle luci alle ombre molto estesa. La macchina fotografica invece, può leggerne solo una parte. L’estensione tonale tra le luci e le ombre che la macchina può catturare si chiama “gamma dinamica”. Capita dunque, come nell’esempio qua sopra, che uno scatto singolo non sia in grado di catturare l’intera gamma dinamica della scena davanti a noi. Come possiamo accorgercene? Semplice: guardando l’istogramma (qui una breve guida sulla lettura dell’istogramma). L’istogramma ci mostrerà se stiamo andando a bruciare luci o ombre della scena fotografata. In questo caso, quando lo scatto singolo non è sufficiente per catturare la gamma dinamica della scena, si ricorre al bracketing. Possiamo quindi per esempio impostare un bracketing di 3 o 5 scatti (o più, se necessario) con 1 stop di intervallo tra uno scatto e l’altro e realizzare dunque gli scatti necessari alla copertura dell’intera gamma dinamica della scena.

Molte macchine fotografiche hanno anche la funzione automatica, molto pratica, in cui imposti il numero di scatti, l’intervallo, e la macchina farà quindi gli scatti richiesti in autonomia. Tutto quello che dovremo fare noi in tal caso sarà semplicemente impostare lo scatto “centrale” (quello “correttamente esposto” diciamo) e la macchina andrà a fare automaticamente anche 1-2-3 scatti sottoesposti e 1-2-3 scatti sovraesposti a seconda di come l’abbiamo impostata, variando automaticamente il tempo di scatto.

Nell’esempio in questione era stato impostato un bracketing di 5 scatti con 1 stop di intervallo (-2EV, -1EV, 0EV, +1EV, +2EV), ecco dunque a scopo esemplificativo i dati di scatto:

Domanda importante: se tutta l’immagine è correttamente contenuta dentro l’istogramma, devo ugualmente fare il bracketing? La risposta, generalmente, è no: anche se l’anteprima dello scatto vi fa vedere una foto che non è esattamente “bella”, poco importa. Se tutto è dentro l’istogramma, avete già tutti i “dati” che vi servono per elaborare il raw. Certo, bisogna anche conoscere i limiti della nostra macchina fotografica. Se stiamo lavorando con una full frame moderna, probabilmente non avremo problemi. Ma se invece stiamo lavorando con una APS-C che magari non ha performance fantastiche quando si vanno a recuperare le ombre, allora il discorso cambia: meglio fare un bracketing per evitare di avere ombre piene di rumore nell’immagine finale. Qui sotto trovate un esempio di uno scatto singolo, realizzato con Nikon D780 a mano libera, con il raw non sviluppato e l’immagine finale post-prodotta: come potete vedere, non ci sono stati grossi problemi a recuperare il tutto anche senza bracketing.

Molto bene, ho realizzato gli scatti in bracketing. Ma ora come li unisco?

Ci sono fondamentalmente due strade: fusione HDR o exposure blending.

La fusione HDR (High Dynamic Range) prevede l’unione degli scatti tramite un software (Lightroom va benissimo) per creare una sorta di “super-raw” con tutte le informazioni di tutti gli scatti, quindi ci troveremo davanti ad un file raw contenente l’intera gamma dinamica di tutti quanti gli scatti realizzati in bracketing. Dopo aver unito i file in un nuovo file HDR.dng, possiamo svilupparlo normalmente come faremmo con uno scatto singolo.

Pro: è facile ed intuitivo
Contro: spesso genera risultati innaturali con il classico “look HDR” molto finto e non permette di gestire correttamente elementi in movimento nella scena (nuvole, persone, acqua, etc.)

Scatto sviluppato con unione HDR di 5 immagini.

Con un exposure blend invece siamo perfettamente padroni di scegliere le porzioni di immagine da conservare da uno scatto all’altro (esempio, 1 scatto per il cielo ed 1 per la terra) e ci serviremo di maschere di luminosità per procedere alla fusione. Ho diversi video sul mio canale Youtube che spiegano la procedura, li trovate in fondo all’articolo.

Pro: genera risultati interessanti e naturali, privi dei classici artefatti da HDR; vi permette di scegliere personalmente gli scatti da utilizzare e quali porzioni di immagine unire in blend
Contro: richiede la conoscenza basilare di livelli e maschere in Photoshop, maschere di luminosità

Exposure blend di 3 immagini (terra, cielo e recupero luce del sole)

Spero che questo tutorial vi sia stato d’aiuto e vi abbiamo fatto acquisire una certa padronanza dei termini di bracketing, HDR ed exposure blend. Vi ricordo che sul mio canale Youtube trovate moltissimi contenuti sull’argomento!

Una opinione su "Il Bracketing: cos’è, come e quando usarlo!"

Scrivi una risposta a Fabrizio Cancella risposta